Presentazione del 24 maggio 2007 Pontificia Università Gregoriana-Roma


Sono profondamente grata al prof. P. Barlone per la gentile ospitalità offertami in questa occasione. E’ per me un onore e una gioia presentare il mio lavoro in questa Sede prestigiosa dove hanno studiato tanti uomini illustri, alcuni dei quali divenuti santi, altri ancora papi (ricordo Paolo VI e Giovanni Paolo I). Sono debitrice in modo particolare al prof. Giovanni Casoli che mi onora della sua stima e che con generosità  ha curato le pagine che introducono alla mia ricerca; un grazie di cuore anche al prof. Avogadri di Firenze che ha accettato di intervenire oggi per parlare di Qohélet e di Leopardi. Un ringraziamento, infine, a tutti voi.

Dopo tutto quanto è stato detto che mi resta da aggiungere? Forse qualcosa che accenni al mio “viaggio” con Giacomo… Forse scandalizzerò qualcuno chiamandolo per nome ma, vedete, da diversi anni egli è diventato il mio compagno di cammino… tante volte ho come l’impressione di sentirlo accanto a me in diversi momenti della mia giornata. Mi corre l’obbligo di ricordare, in questo momento, un grande poeta romano scomparso da poco: Elio Fiore, che fu anche bibliotecario per circa 20 anni al Pontificio Istituto biblico. Incontrai quest’uomo alto e corpulento, quasi un gigante con l’anima profonda e la semplicità di un bambino, a Recanati, un anno prima della sua scomparsa. Passeggiando tra il Colle dell’Infinito e Casa Leopardi ebbi l’onore di scambiare con lui impressioni ed emozioni leopardiane; quel giorno egli mi disse qualcosa che mi colpì particolarmente e cioè che Leopardi si “sceglieva” i suoi compagni di viaggio. Era proprio quanto io “sentivo” era avvenuto per me… Il sorriso dolce e limpido del poeta e lo sguardo che in quel momento si posò su di me mi fecero comprendere come fossimo “insieme”, e con il medesimo sentire.  Ho ricordato Elio Fiore proprio per questa importanza del “sentire” in Leopardi per il quale solo all’immaginazione e al cuore spetta il sentire e il penetrare addentro ne’ grandi misteri della vita poiché le verità più nascoste si sentono più che si conoscono.. Devo confessare, e forse in questo che dirò potrà apparire un pizzico di presunzione, che fin dall’inizio delle mie ricerche ho sempre “sentito” a livello intuitivo che l’impostazione dominante della critica leopardiana, assestatasi dopo il 1947 che grida a gran voce un ateismo e un materialismo dominanti la persona stessa di Leopardi, forse non era totalmente  corretta. Un ateismo totale, alieno persino dal ricordare l’educazione religiosa ricevuta, tanto che anche uno studioso del calibro di Timpanaro ha creduto opportuno dedicare una sola riga a testi quali Giobbe e Qohélet che pure affiorano di continuo nell’opera leopardiana. E, in merito a questo discorso circa i pregiudizi ideologici, presenti in tanti intellettuali ma non solo, mi hanno colpito le parole di Umberto Eco che, intervistato all’inaugurazione del Salone del Libro a Torino, ha osservato che la Bibbia dovrebbe essere insegnata nell’ambito dello studio della filosofia, dovrebbe essere quasi un libro di testo perché “se non si conosce il Libro dei libri come si può capire la nostra cultura?”.
Dopo aver scorso e studiato montagne di testi di critica non solo recente, ho tentato poi di leggere e di capire con la “mia propria intelligenza”, come direbbe Kant, le tante pagine vergate da Giacomo e mano a mano che procedevo incontravo all’interno dell’opera e della biografia, piccole briciole e  frammenti che si presentavano come dei punti interrogativi ai quali non era stata data, per la massima parte, una risposta esauriente. Allo stesso tempo consideravo che se un Papa, quale fu Paolo VI, amava leggere e meditare i Canti leopardiani, un  motivo ci doveva pur essere.. Ho pure ripensato spesso al De Sanctis il quale sosteneva che, in Leopardi, il cuore rifà ciò che l’intelletto distrugge. Perché altrimenti le piante, gli uccelli, i fiori ma anche la domanda, il grido, il dolore e il deserto mi ricordavano pagine bibliche? Basta appena ricordare il dualismo tenebre/luce che domina la prima parte della Ginestra e le domande del Pastore errante. Ma per avvicinarmi al Libro dei Libri dovevano trascorrere ancora diversi anni…ancora dovevo passare attraverso “sudate carte” e “leggiadri studi”, con pazienza e studio e  anche con un po’ di testardaggine… Voglio qui ricordare con riconoscenza i miei maestri di Scienze Religiose a Padova, senza i quali non avrei potuto avvicinarmi a temi come questi.
Neppure per un momento ho avuto mai la presunzione che il “mio” Leopardi, quella figura sfocata che poco a poco, progressivamente, si andava delineando e illuminando nella mia mente, fosse il “vero” Leopardi, così come mai ho pensato né avuto l’intenzione di convincere alcuno. La nostra soggettività, il nostro modo d’essere inevitabilmente condizionano la nostra visione, per cui l’oggettività è mera illusione. Mi sono  solo proposta di ricercare  nelle fonti tutte quelle parole, quei pensieri, quelle sfumature… frammenti, appunto.. ma documenti veri, quindi con una loro scientificità, che avrebbero potuto forse sollevare qualche domanda nelle granitiche convinzioni degli studiosi ma, anche e forse soprattutto, negli appassionati di Leopardi. Mi ha sempre interessato non tanto il critico famoso quanto l’opinione di colui che ama Giacomo. Per far questo ho fatto tesoro pure di esperienze personali: ho partecipato, in incognito, per qualche anno ad un Forum letterario dedicato a Leopardi iniziando lunghi colloqui con ragazzi di diverse età e con amici leopardiani,  dialoghi fatti di condivisione ma anche di accese discussioni nel tentativo di capire… verificando come talvolta  i pregiudizi ideologici condizionino fortemente impedendo persino di riconoscere le stesse fonti.. Ricordo pure certe serate napoletane, quando in compagnia di un’amica anch’essa appassionata e conoscitrice del Nostro, si dimenticava il riposo in modo così naturale da farci meravigliare alla vista dell’ora tarda.
Sarò riuscita in ciò che mi proponevo?
Forse no: Leopardi è un mistero troppo intricato e grande per le mie modeste capacità… Intanto mi accontento di camminargli accanto, a piccoli passi a volte incerti a volte un po’ meno, rivivendo la sua vita, scorrendo quelle pagine che i suoi occhi di bambino avidamente hanno guardato, toccando i dorsi di quei tomi polverosi e attraenti che ancora fanno bella mostra nella Biblioteca di casa, cercando forse la traccia delle sue mani… Volumi ingialliti dal tempo che trattano temi religiosi e biblici in forme che appaiono forse superate ai nostri occhi, ma ancora vivi e palpitanti. Ringrazio pubblicamente la contessa Anna Leopardi che mi onora della sua amicizia e che con generosità mi permette di consultare quei testi che Giacomo stesso studiava.
Ho imparato che mai come per colui che si avvicina con reverenza alle pagine leopardiane, vale la raccomandazione di Pascal (autore amato e citato da Giacomo):  unire le ragioni della mente a quelle del cuore così che si riesca a vedere le cose con un solo sguardo e non per progresso di ragionamenti (almeno fino a un certo punto)  ma anche quella che ci viene da un pensiero dello Zibaldone il quale così recita:
  si osservi che i più profondi filosofi, i più penetranti indagatori del vero, e quelli di più vasto colpo d’occhio, furono espressamente notabili e singolari anche per la facoltà dell’immaginazione e del cuore” (Zib. 3237-45, 1823).
Leopardi emerge, solo come un gigante, poeta-pensante che esprime l’universalità dei sentimenti umani e nella considerazione che “tutto è vanità” innalza nell’oscurità il suo lamento, quel lamento che già fu di Giobbe. E’ lui la “nobil natura” che con la sua “opera di genio” osa sollevare i suoi occhi di creatura mortale contro il destino comune, consapevole  del “misterio eterno dell’esser nostro”, gridando il dolore della vita e auspicando contro di esso ciò che può alleviarlo: l’amore e la solidarietà tra coloro che condividono “un basso stato e frale”: noi tutti. Noi, che leggendo le sue pagine, ricordando il De Sanctis, ci sentiamo “stringere più saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande”.