Nel lavoro che affronta in prima battuta i rapporti tra il pensiero del giovanissimo Leopardi, le letture filosofiche e i percorsi biografici, l’autrice coltiva non tanto la preoccupazione strettamente filologica e filosofica, quanto piuttosto l’intuizione e l’attenzione ai passaggi e ai segreti collegamenti tra contenuti e personaggi del Dialogo filosofico sopra un moderno libro (1812).

Parte non trascurabile dell’opera è riservata, d’altra parte, all’analisi delle complesse e non sempre chiarite interferenze tra Leopardi e i filosofi moderni, Kant e la scuola tedesca in particolare, con sottolineature di significativo spessore per i pensatori di maggiore affinità con il Recanatese, Rousseau e Pascal. L’interrogativo di fondo: “Leopardi ateo e materialista o religioso?” viene affrontato espressamente nell’ultimo capitolo, in termini che invitano ad un rpensamento delle posizioni leopardiane sullo specifico. Anche in questo caso, l’autrice fa tesoro di una indicazione di “metodo” dello stesso Leopardi: “Oltreché a chi manca il colpo d’occhio, non può veder molti né grandi rapporti, e chi non vede molti e grandi rapporti, erra per necessità bene spesso (…). L’esattezza è buona per le parti, ma non per il tutto”.


pres. Roma aprile 1998
 
“La Marcon percorre le diverse tappe della formazione del suo (di Leopardi) pensiero, senza mai perdere di vista la totale originalità della sua natura di filosofo… e nel rispetto dell’aspirazione leopardiana a recuperare l’unità della figura di poeta-filosofo, in sé molto più completa e in grado di cogliere il vero delle cose delle due figure separate… Alla luce di questo accurato studio di Loretta Marcon emerge un’immagine più completa e fedele del poeta-filosofo di Recanati, che sarebbe ingiusto definire semplicisticamente un disperato pessimista, chiudendo gli occhi davanti alla ricchezza e al coraggio del suo pensiero. Ma – anche Leopardi lo scriveva – gli uomini non amano sentire la verità e odiano chi osa pronunciarla”.  (Patrizia Licata, “La Scrittura”, n. 5, Primavera 1997).

 “La prima considerazione da fare al termine della lettura – avida – di queste pagine è che si tratta, a mio avviso, di un saggio anomalo, nell’accezione più lusinghiera del termine, poiché, pur affrontando un argomento già ampiamente dibattuto, non cede alle lusinghe della banalità e della retorica. E’ un libro originale per le emozioni che ci vengono trasmesse e che prescindono dal fascino che Giacomo Leopardi, personalità quanto mai attuale, continua ad esercitare ancora oggi… Loretta Marcon si avvale di una nutrita bibliografia e traccia il suo personale cammino di ricerca all’interno dell’universo leopardiano, motivando puntigliosamente le sue tesi ed utilizzando un linguaggio scorrevole e rigoroso… Un saggio equilibrato ed esauriente, scritto con passione e chiarezza”.  (Gaja Cenciarelli, “Roma centro storico”, n. 3, settembre 1998).

 “Nel volume si ragiona di Leopardi filosofo ma, come tanti concordano, l’argomentare del genio di Recanati non ebbe mai carattere di vero e proprio sistema, né le sue idee si potranno facilmente ricondurre ad un particolare movimento filosofico, così come è da rigettare – la Marcon ne è fermamente convinta – la teoria di un Leopardi “acquietato” in un ateismo e in un materialismo troppo semplificanti… Giovanni Gentile afferma che “questa filosofia dei poeti non è la filosofia dei filosofi, e bisogna trattarla, per non snaturarla e distruggerla, con molta delicatezza”. E di tale delicatezza fa un prudente uso Loretta Marcon nel ricostruire, interpretandola con personale sensibilità, l’evoluzione filosofica di Giacomo leopardi il quale – lo si sottolinea più volte nel saggio – pervenne a conclusioni di estrema originalità”.  (Paolo Maggiolo, “Padova e il suo territorio”, n. 78, aprile 1999).