Christoph Wilhem Hufeland , medico tedesco (1762-1836) è, nel presente studio, personaggio che fa da trait-d’union tra il filosofo Immanuel Kant e il poeta-filosofo Giacomo Leopardi. L’opera che qui si discute, L’arte di prolungare la vita umana, inviata dal medico a Kant, sarà da questi apprezzata e discussa nel Conflitto delle facoltà; il filosofo tedesco, infatti, fu sempre molto attento alla medicina e alle sue scoperte e preoccupato, secondo le sue rigide regole razionali, di conservarsi in vita il più a lungo possibile. Posizione esattamente contrapposta è quella di Leopardi che esporrà il suo scetticismo, nei riguardi di quell’opera che anche lui conosceva, nello Zibaldone e nel Dialogo di un Fisico e di un Metafisico, con la convinzione che «infelicissima com’è la vita» avrebbe stimato di più chi gli avesse insegnato ad abbreviarla. La sua critica è rivolta non solo ad una certa astrattezza dell’opera dell’Hufeland, ma anche alla sua visione parziale della vita umana. Una delle antitesi che caratterizzano il pensiero leopardiano è, infatti, quella tra esistenza e vita, che diventa qui quella tra vivere a lungo e vivere felici. Può la ragion pura aiutare a vivere? O non si potrebbero, invece, richiamare anche le ragioni del cuore di pascaliana (e leopardiana) memoria?